Operation Global Blackout: Anonymous e l’annunciato DNS DDoS amplification attack

Il 31 marzo è vicino, decisamente prossimo.

Ma andiamo con ordine schematizzando e contestualizzando scenari di rischio, impatti e probabilità.

 

Minaccia

A febbraio di quest’anno il gruppo Anonymous ha diffuso la notizia della pianificazione di un attacco a tutti i root DNS server (13 in totale).

A tale attacco è stato dato il nome di Operation Global Blackout ed è stato fissato per il 31 marzo 2012.

 

Come funziona

Il DNS serve a tradurre i nomi delle risorse internet che si vuole raggiungere in indirizzi IP utili ai fini della raggiungibilità della risorsa stessa.

 Il sistema DNS ha una struttura gerarchica in cima alla quale risiedono i root server (target del supposto attacco) che contengono le informazioni di dove ritrovare i server responsabili per il successivo livello gerarchico (ad esempio, .com, .org, it, etc).

A loro volta, questi server ospitano le informazioni relative ai server dns responsabili per il successivo livello gerarchico (ad esempio google.com) e così via fino ad arrivare alla nome della risorsa richiesta (ad esempio www.google.com).

 L’attacco ipotizzato sfrutta una peculiarità del sistema descritto.

Al fine di raggiungere l’obiettivo di fermare globalmente la risoluzione dei nomi Anonymous punterebbe ad una saturazione delle risorse dei server oggetto dell’attacco tramite una generazione massiva ed amplificata di richieste di risoluzioni (DNS Amplification Attack).

Il tool (chiamato ramp) è da tempo disponibile in rete e consente un fattore di amplificazione fino a  73 (cioè quanto ricevuto dal sistema target è fino a 73 volte più grande della richiesta originaria). La differenza tra la quantità di dati generati meno la quantità necessaria a generarla è chiamata appunto amplificazione dell’attacco.

 

DNS amplification attack
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Ogni richiesta effettuata al DNS server (*) include un indirizzo sorgente al quale la risposta deve essere inviata.

Per questioni storiche e di performance tale richiesta avviene con protocollo connectionless (UDP) pertanto può essere soggetta a spoofing.

 

Infatti, il tool suggerito da Anonymous prevede l’alterazione dell’IP sorgente in modo da indurre il DNS server a restituire l’informazione richiesta non al vero destinatario (attaccante) ma ad altri (target dell’attacco).

Fattori critici in caso di attacco massivo:

1)       i dns server utilizzati per perpetrare l’attacco saranno via via saturati dalle connessioni entranti. Le performance di tali infrastrutture si degraderanno fino, potenzialmente, al collasso;

2)       Tali server consegneranno le risposte alle richieste ai root server congestionandoli;

3)       Il traffico dati attraverserà le dorsali IP e ciò causerà una saturazione delle risorse dei provider e degli upstream interessati fino al dominio target dell’attacco;

4)       Le performance dell’infrastruttura target dell’attacco subirà un forte degrado

 Se a questi fattori si aggiunge la possibilità che l’attacco possa essere sferrato utilizzando varie botnet lo scenario di rischio diventa decisamente più critico.

Potenziale impatto

Se l’attacco dovesse riuscire contro tutti i root server tutti i servizi basati su Internet avrebbero un fermo.

A meno di sistemi di cache, infatti, le richieste al root dns sarebbero talmente rallentate da andare in timeout a causa dell’attacco.

Nota: l’attacco dovrebbe avere caratteristiche di durata e portata tali da rendere inaccessibili tutti i root server per il tempo sufficiente ad invalidare le risoluzioni già presenti nei sistemi di cache DNS

 

Probabilità di successo

 A mio avviso, basse.

In molti si stanno chiedendo la reale probabilità di successo dell’attacco.

Anche tra gli addetti ai lavori le opinioni sono diverse.

Molti propendono per una mera azione intimidatoria e pubblicitaria da parte di Anonymous senza alcun tipo di velleità reale di creare disservizi.

In linea di massima, per svariati tecnicismi tra cui anche i vari sistemi di cache, il completo blackout è poco verosimile.

Quello che preoccupa gli esperti di sicurezza in caso di attacco massivo è rappresentato dall’imprevista mole di traffico “anomalo” (tra l’altro si tratta di una richiesta tramite un tool modificato ad hoc, non di richieste standard) che può saturare e collassare a macchia di leopardo le risorse a vario titolo coinvolte.

Questo scenario diventa critico se l’attaccante potrà disporre di botnet significative: in questo caso la probabilità di saturazione delle risorse sarà sensibilmente maggiore.

Contromisure

Nel lungo termine sicuramente adottare DNSSEC; nell’immediato verificare che il proprio DNS non sia un open resolver.

Per il resto, per gli addetti ai lavori, alzare il livello d’attenzione, di monitoraggio e di presidio: non è scolpito nella pietra che non possano “abbassare” il target e creare problemi alle tante appetibili infrastrutture ICT.

C’è parecchio hype sulla notizia e non è escluso che l’ottenuta co-partecipazione, volontaria o meno che sia, possa essere sfruttata per un target meno velleitario ma più alla portata.

 

 

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(*) Sebbene tale attacco richieda la possibilità di poter disporre di un open resolver, di un dns server cioè in grado di accettare delle richieste ricorsive da parte di utenti non locali e che tale configurazione sia stata ampiamente criticata per motivi di sicurezza, ad oggi, non è affatto difficile trovare ed utilizzare un server in questa configurazione.

Vedi  http://www.us-cert.gov/reading_room/DNS-recursion033006.pdf
_____
Clusit

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